il libro di sorte nelle edizioni a stampa

L’edizione a stampa del testo del Libro delle Sorti di Lorenzo Spirito,  spesso illustrata da valenti xilografi, era certamente un libro irrinunciabile nelle biblioteche del Rinascimento. Se ne stamparono infatti in rapida successione, oltre che a Perugia, esemplari anche a Firenze, Brescia, Vicenza, Milano e Bologna.

Il Triompho di Fortuna di Sigismondo Fanti (Venezia 1527) e  Le sorti intitolate giardino d’i pensieri di Francesco Marcolini (Venezia 1540) rappresentano gli altri fondamentali  capitoli della storia rinascimentale dei  libri di sorte.

Nel Triompho di Fortuna di Sigismondo Fanti, pubblicato a Venezia da Agostino da Portese, su istanza di Giacomo Giunta nel 1527, all’inizio del libro si sceglie fra settantadue domande il quesito del quale si chiede risposta. Percorrendo quattro stazioni – la rosa dei venti, le dodici case (ovvero le famiglie “signorili” italiane), le settantadue ruote, le trentasei sfere –, si giunge alla sezione finale, dove sessantatre profeti e undici sibille danno il responso. Il libro uscì nel gennaio del 1527, anno gravido di eventi politici che ebbero ricadute anche sull’arte italiana. Il Sacco di Roma e il conseguente allontanamento dalla città delle sue milizie artistiche, determinarono la fecondazione di molti terreni figurativi, nel segno dell’eredità romana di Raffaello e del primo manierismo. Sopravvive il disegno preparatorio all’incisione del frontespizio del Triompho di Fortuna, conservato a Oxford, Christ Church. È considerato da Frommel decisivo per determinare la cronologia delle opere tarde di Baldasarre Peruzzi. Le centoventotto carte del libro sono illustrate da due incisori: ambedue, a mio parere, utilizzarono vari modelli grafici disegnati o incisi da Peruzzi, che quindi fu forse coinvolto in questa operazione editoriale non per il solo frontespizio.

Il frontespizio-antiporta del libro, ideato da Peruzzi, è un geniale congegno di immagini significanti. Al centro del foglio, agli estremi dei quattro bracci di una croce immaginaria, i simboli della transitorietà del destino: il grande dado, l’astrolabio, l’orologio e il globo terrestre con i simboli zodiacali sul quale siede Clemente VII, come miniaturizzato dalla paura dell’imminente catastrofe che lo travolgerà. Atlante guarda il dado, in attesa dell’esito del lancio (una variante di questa figura in un disegno di Peruzzi conservato al Metropolitan Museum di New York, accession n. 1992.304).

Forte del suo sofisticato impianto iconografico e letterario, il prestigioso libro di Francesco Marcolini si discosta sensibilmente dalle serie di semplici soggetti che illustrano i  giochi precedenti. Con le cinquanta allegorie che animano la prima sezione del gioco, entriamo decisamente nel regno dell’emblema. Lo stile ed il contenuto delle due famiglie di immagini che ornano quest’opera – le Allegorie e i Filosofi – hanno sollecitato l’interesse degli storici dell’arte. Per illustrare le Sorti di Marcolini riporto un brano del massimo studioso di questo libro, Paolo Procaccioli (tratto dal catalogo della mostra Dea Fortuna. Iconografia di un mito, a cura di Manuela Rossi, Carpi, Musei di Palazzo Pio, 17 settembre 2010-9 gennaio 2011):

“Ideatore e promotore de Le Sorti intitolate giardino d’i pensieri  fu il forlivese Francesco Marcolini. “Alla realizzazione materiale dell’opera parteciparono il letterato veneziano Lodovico Dolce per la parte testuale (i 6750 endecasillabi distribuiti, in sequenze di 45 terzine, nei 50 quadri destinati a dar voce ai responsi di altrettanti filosofi), il garfagnino Giuseppe Porta per il frontespizio e altri artisti cui si devono le 100 incisioni (50 allegorie e 50 filosofi) che campeggiano ad ogni apertura di pagina” (Paolo Procaccioli). Fu il frutto di una breve ma intensa gestazione, alla quale parteciparono, oltre a Marcolini come editore e curatore, anche artisti gravitanti intorno al prestigioso cantiere pittorico veneziano di palazzo Grimani a santa Maria Formosa a Venezia. Alla complessa operazione editoriale presero parte: Francesco Salviati, giunto a Venezia nel 1539; come si è detto il suo creato Giuseppe Porta detto Garfagnino, che firmò il frontespizio; l’olandese Lambert Sustris, reduce da un importante soggiorno romano; Francesco Menzocchi, che, come Marcolini, era originario di Forlì.

Quello di Marcolini però non era solo un bellissimo libro di figure, e in quelle non esauriva di certo né la sua specificità né la sua novità. Era, e a tutti gli effetti, un libro di ‘sorti’, ma si trattava di sorti quanto mai particolari. A cominciare dal fatto che testimoniavano di un rapporto non del tutto pacifico con i concetti stessi di “sorte”, “fortuna”, “ventura”, “occasione”, “fato”. Concetti che le carte del 1540 sottoponevano a sollecitazioni del tutto opposte: mentre infatti per un verso la logica dell’impianto li voleva ancora saldamente al centro del meccanismo combinatorio, per l’altro una disposizione ludica di fondo, dichiarata apertis verbis nella sezione proemiale e percepibile in molti dei “terzetti” dolciani, finiva poi per ridicolizzarne l’efficacia e quindi per privarli proprio della loro supposta autorevolezza.

La lezione che scaturiva dalla polarizzazione e dalla gerarchizzazione dei linguaggi (da una parte la “sorte” dall’altra i “pensieri” incarnati nelle allegorie e nei filosofi: le sorti intitolate giardino di pensieri”) era inequivoca, e ben prima del diktat romano, e soprattutto muovendo da una prospettiva laica, segnava la fine di ogni illusione propriamente divinatoria.”