Il libro di sorte di Lorenzo Gualtieri detto Spirito

In generale con la definizione di “libri di sorte” ci si riferisce agli scritti nei quali vengono formulate domande e si ricevono responsi sul destino. Ciò che accomuna questi metodi divinatori è la frase con la sentenza finale. Gli strumenti per ottenere il responso possono variare: carte, monete, dadi, bastoncini, ruote allegate ai libri, sono usati di volta in volta. In modo più o meno esplicito, la numerologia ordina magicamente la struttura dei giochi. Per tappe successive, si avanza in un labirinto di figure che, nei casi più evoluti, intendono significare una progressiva escalation profetica, dall’umano al divino. Di norma, questi testi furono scritti in versi, ed arricchiti con immagini disegnate, miniate o incise su legno: appartengono cioè alla categoria dei “libri che non si leggono” (Adolfo Tura), un genere grafico-letterario caratterizzato dall’indissolubile sinergia fra immagine e parola e dalla predominanza della narrazione visiva su quella verbale.

Il prototipo italiano e rinascimentale dei libri di sorte è quello di Lorenzo Spirito Gualtieri. L’esemplare da lui scritto nel 1482 a Perugia servì da modello per la coeva edizione a stampa: il manoscritto, conservato alla Biblioteca Nazionale Marciana , fu miniato in un secondo tempo, nel primo decennio del XVI secolo, da artisti umbri legati a Perugino e al giovane Raffaello. Le immagini che compongono questa versione italiana del gioco divinatorio – ruota della fortuna, serie dei re, animali e oggetti simbolici, segni zodiacali, profeti – si ritrovano in contesti figurativi “maggiori” nell’arte del centro Italia alla fine Quattrocento.

Libro delle Sorti

Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana (It. IX, 87=6226)

Codice pergamenaceo, mm 243×174, 63 fogli

Perugia, scritto nel 1482, miniato nel primo decennio del XVI secolo

Nella pagina iniziale del libro è rappresentata la ruota della fortuna, tema iconografico di antica tradizione che, al tempo di Lorenzo Spirito, figurava anche nei mazzi di tarocchi tanto amati nelle corti. Intorno alla ruota, all’interno di cartigli, sono formulate una serie di domande fra le quali il giocatore sceglie. Se, ad esempio, si vuole sapere in quale modo si morirà si è indirizzati al re David. La seconda sezione è costituita da venti re, miniati all’interno di cinque medaglioni per ogni pagina. La didascalia che accompagna il re David ci indirizza al segno della Luna. Così si entra nella terza tappa del gioco divinatorio, dove ogni pagina è divisa in una griglia ornata al centro da un’immagine. In ogni riquadro della griglia è disegnata una possibile combinazione del lancio di tre dadi, e la destinazione al successivo passo del gioco. Ad esempio, nel nostro caso, dalla pagina della luna, se con i dadi ottengo il numero undici, andremo alla sfera dell’Acquario e al fiume Orso. Si giunge così ad una sfera con un segno zodiacale o una divinità che presiede a un segno, e al nome di un fiume scritto nei raggi della sfera. Da qui, saremo inviati all’ultimo capitolo del gioco, il quinto, dove un profeta risponderà al quesito iniziale. Leggeremo il responso di Adamo al verso cinquanta: morrai per tradimento e nel morire tu lasserai di te fama e onore.

Nel suo insieme, l’iconografia del Libro delle Sorti rappresenta un’escalation che va dall’umano (la ruota della fortuna, i re) al divino (il responso finale dei profeti), per il tramite dell’astrologia (le serie intermedie). Come dimostra la scelta dei re selezionati per il secondo capitolo del gioco divinatorio, Lorenzo Spirito dimostra di prediligere i repertori biografici medievali, soprattutto il De casibus virorum illustrium di Boccaccio e il canone cavalleresco dei Neuf Preux. Vengono preferiti cioè quei destini emblematici del perverso alternarsi della Fortuna, come quello di Priamo che, secondo Boccaccio, “grande quippe argumentum instantis Fortune”.

E’ proprio a Perugia, dove il libro fu scritto e miniato, il termine figurativo più pertinenti per capire il significato e il contesto in cui è nata l’opera. Si tratta del ciclo di affreschi del Collegio del Cambio, che ha in comune con il Libro delle Sorti la serie degli uomini illustri, quella dei profeti, e le rappresentazioni astrologiche. Questa piccola Cappella Sistina, dipinta da Pietro Perugino e da suoi collaboratori, rappresenta il termine post quem per l’esecuzione delle miniature del libro e un importante punto di riferimento per orientarsi sulla questione stilistica.

Nel caso del manoscritto marciano, pur non potendo ancora sciogliere la questione riguardo all’autore delle miniature, possiamo comunque circoscrivere con buona approssimazione l’ambito della sua attività e la sua identità stilistica. L’anonimo miniatore si formò certamente a stretto contatto con Perugino. Anzi, la figura meglio conservata nella pagina iniziale con la ruota della fortuna, un fanciullo biondo che vi si avvinghia, potrebbe essere proprio di mano del Vannucci, e risalire al 1482, quando Lorenzo Spirito scrisse il manoscritto marciano. Il codice fu poi dimenticato e completato solo nel primo decennio del Cinquecento, quando a Perugia il contesto artistico aveva subito una fondamentale metamorfosi grazie alla presenza di Raffaello. Perugino dal 1502 al 1507 fu relativamente poco presente a Perugia, ma la sua bottega cittadina era attiva e operosa. Raffaello vi gravitava, come dimostra la qualità quasi mimetica della sua pittura con quella peruginesca, all’altezza del 1504 circa. Come ho già dimostrato in altra occasione, molte caratteristiche stilistiche delle miniature sortesche aderiscono ai modi coevi del giovane Raffaello. L’autore delle miniature andrà cercato all’interno del triangolo stilistico formato da Perugino, Raffaello, e dagli artisti perugini che da ambedue traevano nutrimento. Forse quelli della cosiddetta “bottega del 1496” fra i quali c’era Eusebio di San Giorgio.

Lorenzo Gualtieri detto Spirito (1422?-1496), che scrisse e firmò il Libro delle sorti nel 1482, è un’originale personalità letteraria nel panorama umbro di fine Quattrocento. Soldato e biografo al servizio di Jacopo Piccinino si dedicò a disparati generi poetici: scrisse il poema storico L’altro Marte, dedicato ai capitani di ventura umbri, un canzoniere amoroso, fu un precoce traduttore in volgare di Ovidio, e scrisse il nostro libro di ventura, la cui fortuna ha determinato la sopravvivenza del suo nome fino ai giorni nostri. Egli non fu l’inventore del Libro delle sorti, del quale esistevano già esempi medievali, costruiti sul sincretismo di varie tecniche di predizione del futuro, classiche e mediorientali. La versione da lui elaborata tuttavia determinò la nascita di un fortunato genere editoriale legato a questo gioco. Verso la metà del Quattrocento a Firenze fu scritta e illustrata in modo corsivo (ma non per questo poco interessante) una versione precedente al Libro delle sorti di Spirito. La semplicità dell’apparato figurativo del manoscritto, conservato alla Biblioteca Nazionale di Firenze (ms. II, II, 83), ci fa comprendere il motivo del successo della variante del gioco elaborata pochi anni dopo da Gualtieri. Sia nella versione miniata, oggetto di questa scheda, che nelle immediate e ripetute versioni a stampa, l’investimento da parti di autori e editori sul raffinato apparato figurativo era molto alto, e l’oggetto letterario e artistico che nasceva da questo sforzo un prodotto prezioso.