Il Palazzo di Atlante di Giuseppe Maria Mitelli

Accade a volte che compaia inaspettatamente un tassello mancante del grande puzzle che compone la mappa artistica di una città. Nella fattispecie la città è Bologna, e il tassello è un voluminoso manoscritto illustrato a penna nel XVIII secolo intitolato Il Palazzo d’Atlante.

Benchè a Bologna non esista una specifica tradizione editoriale relativa ai libri di sorte, le pubblicazioni sul tema del gioco e del pronostico, dei quali le sorti rappresentano un intreccio, avevano un ruolo riconosciuto. È qui infatti che nel 1551 Anselmo Giaccarelli pubblicò i Cento giuochi liberali e d’ingegno di Innocenzo di Ringhieri. Si tratta di un raffinato testo d’intrattenimento per la società colta. Il gioco richiedeva infatti competenze di letteratura, mitografia e iconologia, e notizie aggiornate riguardo alla disputa sulle arti figurative, da mettere alla prova nel “gioco della pittura”, dove i partecipanti dovevano impersonificare ventuno pittori del tempo.

Fu proprio a Bologna che dalla fine del Quattrocento fino al Seicento l’anno si chiudeva con il pronostico astronomico-astrologico affidato a un professore dello Studio. Durante il Cinquecento, da testi originariamente eruditi e politici, i pronostici divennero opere sempre più intese a soddisfare le esigenze prosaiche dell’uomo comune, e fin’anche del popolo appena alfabetizzato. Nel Seicento poi, i pronostici si diversificarono in saporite varianti. Si tentava di suggestionare il lettore con titoli eleganti e siderei – Tribuna d’Urania, Sistro astrologico, Giardino dei pianeti –, ma nel contempo “l’astrologia penetra anche nel mondo folclorico dove si fonde con le arti magiche e stregonesche e entra a fra parte della cultura della piazza”. Le parodie dei pronostici, gli antipronostici, e le immagini caricaturali degli astrologi, profeti da strapazzo e dottori sapientissimi, vantano una lunga tradizione: a Bologna è Giulio Cesare Croce l’araldo geniale di questo mondo alla rovescia.

Il Palazzo di Atlante partecipa alla memoria letteraria e figurativa bolognese del Seicento, quella di Croce e dei Carracci per intenderci. Il titolo del manoscritto, di sapore ariostesco, evoca quelli dei pronostici ufficiali che ambivano a riferimenti e ambientazioni colte e aristocratiche, ma le decine di maghi, scheletri, diavoli, impiccati, soldati sbrindellati, beoni, nani e freaks disegnati in questo libro escono dall’armadio delle mostruose meraviglie di Croce, del teatro basso e del carnevale. Dal punto di vista figurativo, questi temi non allineati erano stati sdoganati e filtrati dal “nouveau réalisme” dei Carracci e del Guercino, e contaminati da una certa “epica incline al favoloso di Dosso e Nicolò dell’Abate” (Ezio Raimondi), così tipica della cultura emiliana.

I “racconti di paese”, le cacce, le bevute in osteria, ma anche gli eleganti giardini e i cicisbei imparruccati – che illustrano la sezione dei dadi e quella delle sfere nel libro-gioco –, fotografano una città radicata su una solida economia agraria, dove il popolo, i borghesi, i signori, intrecciano, con naturalezza e ironia, il loro vivere quotidiano. È anche – sebbene a distanza di un secolo –, la Bologna delle Arti per Via, la serie disegnata da Annibale Carracci per “scherzevole passatempo” (Malvasia) e incisa nel 1646 da Simone Guillain.

Nell’ultimo capitolo del libro, dove il realismo diventa fantastico, è illustrato un mondo diverso da quello delle prime due sezioni ma ad esso complementare. Si entra come in un cerchio magico, dove iperbolici saggi e profeti, assistiti da solerti diavoli, streghe, scheletri e mostri assortiti, devono vaticinare sul nostro futuro.

Per individuare le fonti visionarie alle quali attingevano gli artisti bolognesi fra XVII e XVIII secolo è necessario trasferirsi a Firenze, alla corte dei Medici. Qui, un articolato sistema di rappresentazioni teatrali impegnava artigiani, artisti e letterati. Già al tempo di Ferdinando I con Buontalenti e Cigoli, e in seguito con Cosimo II e i suoi inventori di scenografie teatrali, Giulio Parigi e Jacque Callot, si aprivano davanti agli occhi degli spettatori palcoscenici gremiti di personaggi fantastici. Le rappresentazioni dell’Inferno erano ad esempio un classico negli Intermezzi fiorentini. Jacque Callot nei disegni (più tardi tirati in stampe) eseguiti nel periodo fiorentino (1612-1621) riattualizzò lo zoo umano e ferino di Bosch e Bruegel, ma anche gli “stregozzi” cinquecenteschi italiani.

Erano questi temi che, una volta chiusi i sipari, vivevano una vita propria tradotti nelle incisioni. Ad esempio, dalle parti di Bologna, nell’inventario dei beni di casa Gennari, redatto nel 1719, compare un gran numero di stampe: le più numerose erano quelle di Jacques Callot.

Raramente però questi parerga avevano l’onore di essere protagonisti di un dipinto. A meno che l’artista in questione non fosse un consumatore abituale di simili sostanze, come nel caso di Giuseppe Maria Mitelli. Egli, che fu uno dei più noti incisori e inventori di giochi del Settecento, compì il suo apprendistato nelle botteghe dei pittori – grazie al padre quadraturista Agostino – e frequentò anche quella del Guercino, e dunque il citato caveau di stampe callottiane. In alcuni inventari di quadri (perduti) eseguiti da Mitelli e conservati nella sua casa, oltre a svariate opere che hanno come soggetto la Fortuna, ritroviamo i personaggi cari a quell’immaginario mostrifico e grottesco che popola anche parte del Palazzo d’Atlante. Mitelli dipinse: “La tentazione di Sant’Antonio con molte bizzarre figure e demoni”, “Il sogno del cacciatore che dorme sotto un albero e si vedono tutte le cose del mondo alla rovescia”, “La notte di Benevento sotto la quale vi sono adunate molte streghe e demoni”… E al di là delle sintonie con Callot, le coincidenze fra il catalogo inciso di Mitelli e i disegni del manoscritto in questione sono talmente affollate da poter divenire, se organizzate, la prova della sua paternità dell’opera.

Il Palazzo di Atlante

Bologna, 1710 circa

Codice cartaceo adespoto

In folio (cm 42,5×29), 150 fogli

152 disegni eseguiti a penna in inchiostro marrone, acquerellati in lapis grigio a varie sfumature, attribuiti in questa sede a Giuseppe Maria Mitelli (Bologna 1634 – 1718)

Nel frontespizio piccolo stemma dipinto (posteriore all’esecuzione del manoscritto) con scudo sagomato, trinciato d’azzurro e di rosso da una banda d’argento in divisa; nel I campo, figura indecifrabile d’argento: nel II campo, tre palle (o bisanti?) male ordinate.

Nell’antiporta e alla carta 133 timbro con sigla HL, forse pertinente alla collezione di Horace His de la Salle (Parigi 1795-1878). Alla carta 133 iscrizione fecit  P. B 1620

Presenti filigrane con trifoglio e con tre falci di luna simili a quelle prodotte da cartiere emiliano-venete fra XVII e XVIII secolo

Collezione privata

L’imponente manoscritto del Palazzo di Atlante è un frutto tardivo nella produzione dei libri di sorte, testi divinatori spesso caratterizzati da ricchi corredi figurativi, che vissero la loro stagione d’oro in Italia durante il Rinascimento.

Nell’antiporta del manoscritto è rappresentata la statua di un vecchio barbuto che con un piede tiene aperto un libro, al quale rivolge lo sguardo. E’ sostenuto da due figure maschili oppresse da un piedistallo, sedute su una base architettonica ornata da iscrizioni: il titolo Il Palazzo d’Atlante e segni ortografici di un alfabeto inesistente. Alle spalle della statua una struttura architettonica a emiciclo dove, entro nicchioni, sono raffigurati (a figura intera o a mezzo busto) i savi che risponderanno ai quesiti iniziali del libro.

Il libro entra poi direttamente nel vivo, senza introduzioni o presentazioni, al contrario di quanto avveniva nella consolidata ma lontana tradizione sortesca, dove gli autori indugiavano nella presentazione propria e del gioco. All’antiporta figurata seguono infatti quattro pagine con gli indici dei quesiti e delle sezioni del gioco. Dal momento che il manoscritto è inedito, si è reputato utile trascrivere l’indice.

Elenco dei quesiti (è rispettata la grafia originale del testo)

Richieste per Uomini: [1] se piglierai Moglie, o sarai Religioso; [2] se Religioso avrai Diginità Ecclesiastica; [3] se Frate giungerai a grado alcuno; [4] in qual Scienza farai profitto in Religione; [5] se pigliando moglie sarà bella o brutta; [6] quale sarà tua vita in Religione; [7] se la Moglie sarà buona o cattiva; [8] se ti sarà fedele; [9] se sarai dalla Moglie amato; [10] quanti figli sarai per avere dalla Moglie; [11] se la tua amata t’ami e corrispondi; [12] se alcuna t’ami segretamente, e chi sia; [13] se averai fortuna in amore; [14] se goderai l’amore di quella che ami; [15] a che pensa in assenza la persona amata; [16] quante moglie sii per avere; [17] a cosa sii dalla natura inclinato; [18] se la lite terminerà in tuo favore o no; [19] se guadagnerai nel gioco o mercanzia; [20] se il viaggio ti sarà felice o no.

Per Donne: [1] se la donna si mariterà e fra quanto; [2] se incontrerà un buon Marito; [3] se sarà bello o brutto; [4] se il Marito l’ama e lì sia fedele; [5] se essendo gravida partorirà Maschio; [6] se è amata dal suo Vago; [7] se ha nessun amante incognito e chi sia; [8] se ha molti Amanti, e qual più l’ami; [9] se averà in Marito quello che brama; [10] quanti Mariti ha d’avere; [11] a che sia dalla natura inclinata.

Communi: [1] se morirà prima il marito o la moglie; [2] quanto tempo hai da campare; [3] in qual luoco e di che morte hai da morire; [4] se hai d’aver fortuna e in che; [5] se dalle persone sei amato; [6] se eriderai cosa alcuna; [7] se sei savio o no; [8] se il tuo pensiero avrà effetto; [9] se gli amanti o maritati staranno in pace; [10] se il sogno riuscirà vero; [11] se l’amico o l’amica ti sarà fedele; [12] qual pensiero più ti travagli; [13] se riaquisterai la grazia perduta; [14] a conoscer il ladro che ti ha rubbato; [15] se la cosa che fu detta sia vera; [16] se in quest anno t’ha d’accadere alcun accidente; [17] se hai alcun nemico occulto e chi sia.

Seguono gli indici delle tre sezioni del libro e dei relativi soggetti.

Sezione dei dadi: sorte (scheletro), cornucopia, botte, rete, campanile, diavolo, civetta, prigione, forca, luna, torre, gambaro, capello, libro, drago, bandiera, schirato (scoiattolo), bove, fortuna, stella, tromba, leone, campana, gabbia, scala, casa, cataletto, sorca, mitra, colomba, candeliere, fiasco, cavallo, pavone, bombarda, sole, lanterna, sirena, cervo, fiori, carro, aquila, cane, matto, cupido, sfera, cuore, nave.

Sezione delle sfere: albero, angelo, asino, arco, bacco, balena, elefante, fontana, gabbia, gallina, gambaro, gatto, bilancie, boccale, braghiere, castello, cherubino, cieco, cielo, cometa, croce, donna, orologio, papa, gigli, giustitia, granchio, griffo, hostaria, laberinto, serpente, simia, soldato, sole, sparaviere, tamburo, pignata, pozzo, re, ruota, letto, lira, luna, meloni, montone, occa, organo, mortaro.

Sezione dei savi: Agatone, Albumazar, Alchifo, Archelaus, Aristone, Arpileo, Alfarabio, Alpetrago, Algazele, Badanai, Cifolotto, Calfurnio, Cleombrotto, Colofonio, Dardano, Forone, Guidone, Ifigonio, Luciferone, Macabruno, Magog, Menippo, Merlino, Messalac, Magone, Malagigi, Melampo, Monomeno, Nembrotto, Panigone, Pinagora, Plotino, Pomponio, Rebuffone, Rondone, Scalfarotto, Scarabeo, Scardaffo, Sefiroto, Sidonio, Simone, Talippa, Telabecco, Ticone, Tiridate, Tuberone, Zirfeo, Zoroastro.

Per la discussione dettagliata del contenuto testuale e figurativo del Palazzo d’Atlante rimando al saggio in catalogo scritto con Paolo Procaccioli.

Basti qui segnalare che l’imponente apparato figurativo del manoscritto ha facilitato l’individuazione di molti punti in comune fra i disegni del Palazzo d’Atlante e le opere dell’incisore, pittore e inventore di giochi bolognese Giuseppe Maria Mitelli. Molti soggetti presenti nel libro-gioco sono infatti comuni, per stile e iconografia, alla sua produzione incisoria. E’ stato confortante in questo senso anche il confronto con il taccuino di disegni dell’artista conservato alla Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna. Il Palazzo d’Atlante, così come l’opera di Mitelli, partecipa alla memoria letteraria e figurativa bolognese del Seicento, quella dei Carracci e di Croce per intenderci. Se nella prima parte del manoscritto prevale la rassicurante fotografia della natura e della realtà agraria e borghese cittadina, nell’ultima sezione, quella dei savi, l’acceleratore è spinto verso un mondo grottesco, fantastico e fin’anche osceno.

L’analisi testuale ha evidenziato alcune caratteristiche del manoscritto che ne fanno un oggetto letterario originale rispetto alla tradizione sortesca. E’ il caso ad esempio della forte presenza della prospettiva religiosa nella serie di quesiti destinati agli uomini, che non confligge con la Bologna papalina e con la storia personale dello stesso Mitelli. L’artista infatti aveva un fratello gesuita, Giovanni, al quale era legatissimo: fu il biografo tanto del padre quadraturista Agostino che dello stesso incisore. E’ stato ipotizzato (Varignana) che l’autore dei testi nei giochi di Giuseppe Maria fosse appunto il fratello religioso Giovanni. Un’altra componente distintiva del testo è la presenza “del tutto extravagante per portata, della problematica sessuale e del lessico dell’osceno” (Procaccioli), in sintonia con gli aspetti più estremistici dell’apparato figurativo del manoscritto, precedentemente segnalati.

Il confronto fra la grafia di Giuseppe Maria e di Giovanni Mitelli nei documenti autografi conservati alla Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, con quella dell’autore del Palazzo di Atlante, ha permesso di rivelare elementi morfologici comuni: non tali però da sciogliere le riserve riguardo all’identità dello scrittore-copista dell’opera.